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De Gustibus o Design?

di Mafalda Signorino - UI/UX Designer, PA Group | Retelit Group
02 luglio 2020News & Eventi
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Un sistema complesso, alla stregua di qualsivoglia flusso interattivo che comporti un dialogo tra cittadino e pubblica amministrazione, tra fruitore e interfacce online erogatrici di servizi, tra consumatore e prodotto, esige progettisti svincolati dal relativismo artistico - connesso alla variabilità del gusto individuale - che traducano meccanismi articolati in processi di immediata comprensione e di fluido svolgimento. La costruzione di strade in discesa è dunque la missione di tutti quei Designer promotori dell'abbattimento di percorsi a ostacoli a favore di un pensiero logico-lineare che semplifichi (e migliori) l'esistenza dell'utente.

Che io prediliga il leopardato allo stile Peppa Pig, oppure che gradisca maggiormente il caffè macchiato al ginseng, rappresenta una percezione soggettiva, circoscritta al range del relativismo. In arte regna sovrana la variabilità individuale; la percezione della bellezza o dell'impressione suscitata nel pubblico sono spesso influenzate dal momento storico-culturale e dal bagaglio emozionale/esistenziale dell'osservatore.

È con l'avvento della Bauhaus di Gropius che si sono maggiormente, se non definitivamente, tracciati i confini tra la produzione meramente artistico/pittorica e i principi del design logico-progettuale avente la finalità di comunicare scopo e funzione delle cose.

In comunicazione, pertanto, qualunque essa sia e in qualsiasi dimensione del vivere quotidiano abbia l'onere di svolgersi - dagli oggetti d'uso comune ai servizi erogati al cittadino dalle pubbliche amministrazioni - è urgente la costruzione di messaggi portatori di un significato univoco, oggettivo, incapace di lasciar spazio a dubbi interpretativi.

Che si tratti di una piattaforma, di un'applicazione, di un sito web, del bugiardino di un farmaco, del packaging di un alimento, ecc.. l'approccio deve poter restare il medesimo, purchè rifletta determinati linguaggi universalmente accolti in quanto riconoscibili.

Affinchè un prodotto sia degno di definirsi usabile (ovvero di facile lettura) il design di un'interfaccia deve soddisfare tre requisiti necessari: reperibilità, riconoscibilità, funzionalità, partendo sempre dai seguenti presupposti:

1) l'utente non è onnisciente nè dotato di facoltà precognitive. È democraticamente pigro, talvolta affetto da analfabetismo informatico e confidente in operazioni di rapido e facile svolgimento che ne migliorino l'esistenza;

2) se non comprende dei passaggi cruciali all'interno di un wizard, di un processo di acquisto/vendita o qualsivoglia interazione con il sistema, non è affetto da un deficit cognitivo.

Risulta assai probabile - invece - che le capacità di trasmissione dei concetti da parte del progettista siano state lacunose, vacillanti e non supportate da alcuna reale conoscenza dell'iter da sottoporre al soggetto interagente. Lo stesso progettista deve aver ignorato, inoltre, gli strumenti o componenti visivo-tecnologici di cui avvalersi per rendere l'esperienza utente più agevole e fluida.

Un flusso interattivo/di navigazione ben strutturato deve descrivere in modo semplice meccanismi complessi; attraverso una certa disposizione di contenuti, eventi a cascata scatenati da una successione (purchè sempre esigua!) di click, riesce a elaborare prodotti a prova di bambino, come missione irrinunciabile, che risultino diretti e non costringano il navigante ad alcuno struggimento mentale.

Diciamo che, a comunicare in modo complicato e indecifrabile meccanismi già di per sè complessi siam capaci tutti; non richiede alcun dispendio energetico se non la copia fedele dello scenario posto dietro le quinte.

Ma cos'è il dietro le quinte? Basti pensare al meccanismo di un orologio analogico, comprensivo di un motore e un sistema di trasmissione/controllo dell'energia, il tutto tradotto (agli occhi del soggetto) in un semplice indicatore del tempo: il quadrante. Quanto viene restituito è dunque un'indicazione chiara e inconfutabile, a dispetto di un ingranaggio invisibile e articolato (a patto non si tratti di un modello con meccanismo a vista!). Quanto viene sottoposto all'osservatore possiede un aspetto scarno, essenziale, assimilabile a un palcoscenico teatrale e - tuttavia - capace di comunicare con estrema efficacia e incisività spegnendo quel surplus talvolta assolutamente inopportuno se non deleterio.

Farsi capire, dal genio della NASA come dal bimbo ignaro e digiuno del contesto, richiede invece lavoro, cultura e soprattutto l'onestà intellettuale di ammettere il fallimento laddove - in sede di un test di usabilità - il Mario Rossi di turno oserà affermare: "Uhm, direi che ancora non si comprenda. Non so dove recarmi per svolgere l'opeazione X".

La differenza tra un professionista e un presunto tale è pertanto il riconoscersi portatore di una sconfitta; dalla sconfitta scaturisce l'urgenza di una empatica revisione/rivisitazione del progetto, infinite volte, fintanto che il destinatario non avrà riscontrato alcun elemento fuorviante, nè percorsi tortuosi.

All'interno dell'iter di compilazione/consultazione di una determinata interfaccia visiva, il fruitore deve potersi sentire a proprio agio, mai farsi carico della perturbazione mentale del designer.

E guai se urge creare istruzioni-salvagente per insegnarne il funzionamento (impiegabili, semmai, in corsi di taglio e cucito o modellamento della pasta di sale): sarebbe il sintomo di un totale fallimento del Designer delegante il tutto a libretti informativi/indottrinatori, attribuendo la responsabilità di una eventuale, mancata comprensione degli eventi - per l'ennesima volta - all'utente finale stesso.

Viviamo in un tornante della storia del design molto pericoloso, dove l'applicazione del buon senso viene talvolta osteggiata, talvolta sbeffeggiata, talvolta aggirata. È un eretico colui il quale si rende portavoce di un malcontento taciuto e si batte per un nuovo risorgimento: il ripristino (o almeno la promozione) di un pensiero lineare, orientato alla salvezza del consumatore, alla risoluzione di criticità e conflitti in tutti i contesti di interazione uomo-macchina / uomo-prodotto.

Viviamo in un'era in cui a imperversare sono le interfacce preconfezionate e pronte all'uso, del tutto svincolate dallo scopo e dagli interlocutori per i quali sono destinate. Del tutto incuranti di definire una modalità interattiva ragionata, modellata sulle esigenze e gli obiettivi dell'applicativo e dell'utente finale, di un packaging efficace, di una segnaletica stradale autoevidente.

La risultante è una serie di artefatti prodotti in serie, a mo' di Pop Art con la differenza che, mentre quelle opere si adoperavano a elevare l'oggetto d'uso comune al ruolo di opera d'arte, questi visual contemporanei destituiscono il ruolo del design progettuale di ogni sua dignità, declinandolo al ruolo d'oggetto d'uso comune.

La costruzione di strade in discesa è dunque il compito cardine, non dei sognatori, ma dei progettisti seri, che prendano in carico la necessità legittima del fruitore: salvarsi dal naufragio e da eventuali avarie. Nel design non devono esser concessi dubbi, nè tanto meno sforzi cognitivi.

È bene che da questo mestiere si astengano smanettoni perditempo, inutili conoscitori di software in quanto meri ordigni in grado di compiere artifici visivo/estetici. La mano dell'artigiano, l'occhio appassionato dello studioso della percezione visiva e della costruzione di un visual semplice da usare, gradevole da guardare e di immediata comprensione , costituiscono le colonne portanti di un prodotto vincente, durevole nel tempo.

Un sistema non deve configurarsi come un percorso a ostacoli, ma la soluzione all'abbattimento di essi; un sistema e un professionista autorevoli operano al servizio del consumatore, del cittadino, dell'utente e del fruitore in senso ampio. Sempre.

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