Vita da CEO

Federico Protto, CEO Retelit: fiducia e credibilità per costruire successo aziendale e leadership personale

Se in una transazione c’è credibilità e fiducia tra gli interlocutori, la relazione è molto più semplice e proficua. Nell’intervista a ZeroUno, Federico Protto spiega come queste siano le sue cifre nel dirigere l’azienda italiana e nel relazionarsi con clienti, fornitori e collaboratori

Pubblicato il 10 Ott 2019

Illustrazione di Federico Protto

Grande appassionato di bicicletta, Federico Protto, CEO di Retelit, ama viaggiare: dal viaggio di nozze in Giordania e Siria nel 1998, alla scorsa estate in Botswana. Sposato con tre figli dice: “Sono convinto che il modo migliore per spendere i propri soldi siano i viaggi e l’educazione dei figli”.

Chiamato alla guida di Retelit nel 2015, grazie alle capacità manageriali maturate in oltre vent’anni di esperienza nel settore TLC, Protto ha riportato in attivo l’azienda basando la propria leadership su due concetti per lui basilari: fiducia e credibilità

ZeroUno: Come inizia la giornata?

Federico Protto: Abbiamo un’ottima rassegna stampa e la mia giornata inizia con quella, piuttosto presto anche adesso che non devo più accompagnare i figli a scuola. Poi un caffè e arrivo in ufficio; ufficio che in realtà per me è più una base che altro, perché sono convinto che il mio valore aggiunto sia soprattutto nell’attività verso l’esterno, con i clienti, i partner, i fornitori, gli analisti; tutto il mondo che ruota intorno a Retelit e al quale cerco di dedicare almeno il 75% della mia giornata.

E poi sono spesso in viaggio all’estero perché anche se siamo un operatore italiano siamo molto esposti internazionalmente, quindi almeno un paio di giorni alla settimana sono fuori Milano.

Foto di Federico Protto CEO Retelit
Federico Protto, CEO di Retelit

L’importanza dell’incontro fisico su cui costruire fiducia e credibilità

ZeroUno: Nonostante gli strumenti di collaboration, alla fine l’incontro fisico rimane importante?

Federico Protto: Anche se viaggiare comporta un’efficienza lavorativa piuttosto bassa, credo sia ancora indispensabile perché gli strumenti di collaboration, nella mia esperienza, funzionano solo dopo che si è già stata instaurata una relazione “fisica” con il tuo interlocutore; penso siano necessari almeno due o tre incontri in presenza con una persona per capirsi un po’ di più, per creare un mood positivo; solo quando si supera quel livello di conoscenza la comunicazione telefonica o in video è davvero efficace.

Del resto, il business, sia internamente sia esternamente, è fatto di relazioni, anche personali che ritengo fondamentale si basino sempre su fiducia e credibilità.

ZeroUno: Le relazioni…sebbene immagino siano impostate in modo diverso a seconda che si tratti di clienti, fornitori o collaboratori, c’è per lei un tratto, una caratteristica comune?

Federico Protto: Sì, e sono proprio fiducia e credibilità che, sebbene declinate in modalità diverse, devono essere presenti in tutti e tre i campi. La relazione professionale è tanto più efficiente quanto più c’è fiducia tra gli interlocutori perché ogni volta che in una transazione (non necessariamente economica) c’è credibilità e fiducia tra gli interlocutori, la relazione è molto più semplice e, in definitiva, meno costosa per entrambi. Altrimenti bisogna creare delle sovrastrutture, tendenzialmente di controllo, che occupano tanto tempo e rallentano le decisioni, mentre se c’è fiducia la relazione è ipso facto più efficiente e vantaggiosa.

Sono questi i fattori che consentono di instaurare rapporti di lungo periodo con i clienti: naturalmente si parte con elementi più concreti come la qualità del servizio, le competenze tecnologiche, la competitività della soluzione ecc. che devono esserci, ma poi basare il rapporto commerciale sulla fiducia reciproca è fondamentale. In questo modo io mi relaziono con i clienti e lo stesso chiedo ai fornitori.

Un leader è tale se è credibile

ZeroUno: Vale anche con i collaboratori? Come coniugare la fiducia nei collaboratori, che poi si traduce in delega, con la responsabilità aziendale?

Federico Protto: I principi sono gli stessi, anche se all’interno sono declinati in maniera leggermente diversa perché subentra il concetto di leadership che fa parte del mio mandato ed è anche quello che le persone si aspettano da un capo.

Un leader è tale se è credibile per quello che le persone vedono nella loro concreta esperienza e il collaboratore si aspetta di trovare una guida, un riferimento; questo gli dà anche maggiore sicurezza nella sua attività. Questo non significa né imporsi né accondiscendere a qualunque richiesta: c’è il confronto, ma poi quando uno entra nel mio ufficio con una richiesta, ponendomi un problema, presentando una proposta, deve sempre uscirne con una risposta chiara, anche se fosse negativa. Nella mia esperienza professionale ho verificato che non dare risposte chiare, non essere di supporto ai propri collaboratori viene spesso associato al disinteresse e se un collaboratore percepisce disinteresse da parte dei vertici aziendali, quello è il primo passo verso la demotivazione.

Per quanto riguarda le modalità di relazione interne, il martedì mattina ho un incontro con tutte le prime linee, è una piattaforma che serve non solo a me, ma che favorisce anche la relazione tra i vari manager e una comunicazione tra pari, che è più efficace di quella gerarchica, meno facile ma sicuramente più efficace.

ZeroUno: E mi sembra che a breve vi trasferirete anche in nuovi uffici che agevoleranno ancor di più questo tipo relazione…

Federico Protto: Esatto, a breve ci sposteremo vicino all’attuale sede, in nuovi spazi dove non esisteranno uffici personali, nemmeno il mio.

Per me è un cambiamento importante: non si tratta semplicemente di cambiare sede, ma di implementare un nuovo modo di lavorare. La contaminazione è fondamentale per creare innovazione e questo vale internamente – dove, se non ci sono scrivanie fisse, si è molto più portati a confrontarsi, anche solo scambiando due parole, con persone diverse – ma vale ancor di più se ci si trova a lavorare in spazi diversi, fuori dall’ufficio, presso clienti o fornitori, o in spazi di co-working che facilitano lo scambio di idee, esperienze, opinioni.

Un modo di lavorare che a mio avviso implica anche nuovi modelli organizzativi. Per esempio, nel passato spesso si era portati ad affidare responsabilità manageriali nei team di lavoro a colui che “tecnicamente” era il più bravo di quel team: questo è sbagliato. La principale capacità del responsabile di un team deve essere quella di mettere il team nelle condizioni di lavorare al meglio, gestire i conflitti, le criticità, riuscire a ottenere il meglio dai diversi componenti. A me non interessano i report sulle specifiche attività: siamo una realtà di 90 persone, se voglio avere informazioni specifiche vado direttamente dalla persona che segue quel cliente o progetto; il responsabile del team deve occuparsi di altro, non deve fare il collettore dei lavori altrui.

Definire una strategia ed essere capaci di innovarsi

ZeroUno: Una cultura manageriale non semplice da sviluppare, specialmente in persone la cui formazione è tecnica. Qual è stato il suo percorso professionale?

Federico Protto: Prima di tutto io sono un ingegnere che non ha mai fatto l’ingegnere.

Ho studiato ingegneria elettronica con enorme soddisfazione e piacere, ma ho presto capito che il mestiere di ingegnere non faceva per me, perché mi piaceva di più parlare con le persone, interagire in contesti sociali più che unicamente tecnologici. Ho iniziato in Telecom Italia dove gestivo team di persone in call center; è stato un periodo “formativo” molto importante perché mi ha permesso di confrontarmi anche con problematiche di carattere industriale e sindacale insegnandomi ad affrontare con successo dinamiche non semplici.

Anche se in Telecom mi trovavo bene, era un ambito troppo nazionale mentre io volevo un’esposizione internazionale. Quindi ho fatto due esperienze, una breve in MCI Worldcom, e una lunga 13 anni in Deutsche Telecom dove gestivo diverse country.

È stata un’esperienza splendida, che mi ha permesso di crescere dal punto di vista della managerialità, con un orientamento al controllo e alla gestione, ma soprattutto di capire l’importanza della definizione di una strategia. È vero che pensare a pianificazioni di medio e lungo periodo è molto pericoloso perché il business cambia sempre più rapidamente, ma parlare di strategia, di investimenti e di ritorno di investimenti è fondamentale, altrimenti si naviga a vista. La distonia del business oggi è proprio questa: la pianificazione di lungo periodo è inattuabile, ma un’azienda senza strategia è morta. Mettere insieme queste due cose, definire una strategia da qui a 5 anni in un contesto che cambia ogni 6 mesi, è la sfida principale di un leader aziendale oggi: avere una visione in un ambiente assolutamente imprevedibile. In questo l’esperienza in Deutsche Telecom mi ha aiutato molto.

Ed ecco spiegato il mio arrivo in Retelit. Nel 2014, l’azienda era in una situazione travagliata dal punto di vista di mercato e finanziario e agli azionisti è forse piaciuta proprio questa mia formazione manageriale, mi hanno quindi affidato il compito di guidare l’azienda per riportarla ai livelli che una società importante come Retelit doveva avere.

ZeroUno: La definizione di una strategia deve coniugarsi con la capacità di innovarsi. Qual è la sua visione di innovazione?

Federico Protto: È una domandona! Il rischio, se non si è concreti, è di cadere nel banale. Posto che l’innovazione non si fa da soli e non si fa a comando, quello che è importante a mio avviso è creare le condizioni perché l’innovazione nasca e si sviluppi. Come fare scoccare questa scintilla?

Ci sono tendenzialmente due leve fondamentali. La prima è la cultura dell’errore: paradossalmente bisogna incentivare l’errore perché sperimentare e analizzare quello che si è sbagliato è un sistema formidabile per sviluppare idee. L’altra leva è quella, come dicevo prima, della contaminazione, dello scambio tra persone per fare attecchire semi di innovazione.

Illustrazione di Federico Protto
Ritratto di Federico Protto – Illustrazione di Lorenza Luzzati

Come supportare il CIO nel suo ruolo di innovatore?

ZeroUno: Una visione che apre il grande tema delle competenze. Sul quale mi vorrei però confrontare dalla prospettiva del CIO, che è il nostro e il vostro principale interlocutore. Molti CIO che ho incontrato e intervistato hanno rilevato nei vendor una carenza di quelle soft skill di cui tanto si parla e, soprattutto, la tendenza a cercare ancora relazioni di tipo “tradizionale” impostate sul supporto tecnologico…

Federico Protto: Partiamo dal CIO e dal suo team: la competenza tecnologica è importante ed è una competenza ‘facile’ che rientra nel DNA delle persone dell’ICT. Ma oggi è cambiata una cosa fondamentale: le aspettative del CEO nei confronti del CIO. Se nel passato, il CIO doveva presidiare una competenza tecnologica in un contesto in cui il distacco tra piattaforma tecnologica IT e presidio di business era molto chiaro, oggi invece c’è una vera e propria osmosi tra questi due elementi. Si dà per scontato che l’IT funzioni, e quindi le vere domande che il CEO fa oggi al CIO sono altre: l’IT mi aiuta a vendere di più? A vendere meglio?

Quindi la mia risposta alla sua domanda è: devo sviluppare e gestire soluzioni che abilitino il business con risorse che siano in grado di supportare il CIO proprio nel dare una risposta a queste domande; per fare questo le competenze tecnologiche, torno a ripeterlo, sono importanti, ma non sono sufficienti.

Il cliente spesso non sa esattamente quali saranno le sue esigenze tra 2 o 3 mesi ed è qui che entriamo in gioco noi che dobbiamo essere propositivi. Per esserlo puntiamo su due leve: la prima è creare piattaforme quanto più scalabili possibile e farlo proprio fin dall’inizio perché, se per implementare una nuova applicazione la piattaforma tecnologica sottostante può crescere a un costo marginale, il CIO può concentrarsi sul nuovo applicativo e si incentiva l’innovazione. La seconda leva è sviluppare conoscenze specifiche sui mercati di riferimento, per questo abbiamo risorse dedicate a studiare settori verticali in modo da poter consigliare i nostri clienti, far loro da advisor e questo è anche un modo per creare nei fatti quella fiducia e quella credibilità di cui parlavo all’inizio.

ZeroUno: In conclusione, ci può dire due momenti, l’uno gratificante e l’altro più difficile, particolarmente importanti nella sua vita professionale?

Federico Protto: Quello più gratificante è relativo alla mia esperienza professionale attuale: quando nel 2017 ho capito che questa società ce l’aveva fatta. E soprattutto che avevamo vinto la sfida trasformando la società dall’interno, cambiando la mentalità delle persone e non sostituendo le persone. Al di là del vantaggio economico di poter gestire oggi una società completamente sana, la vera soddisfazione è stata quella.

Trovare il momento più difficile è un po’ più…difficile perché ho avuto una carriera piuttosto lineare. Forse lo è stato l’ultimo periodo che ho passato in Deutsche Telecom: da una parte viaggiavo tantissimo e alla fine la mia efficienza lavorativa era molto bassa, dall’altra, a fronte di una responsabilità di business enorme, come spesso capita nelle corporation, avevo una responsabilità operativa molto più contenuta. Incominciavo a essere insoddisfatto perché mi rendevo conto che all’interno di quel grande meccanismo, il mio contributo professionale era ridotto e quindi ho capito che era il momento di cambiare.

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