Le sfide per l'azienda digitalizzata secondo Retelit

Deglobalizzazione, sostenibilità e stagflazione le incognite per il futuro di grandi gruppi e pmi
Cavi collegati a un datacenter
Foto: Jordan Harrison su Unsplash

Fare impresa senza essere connessi è impossibile.  Ma come creare valore attraverso l’innovazione? Se ne è discusso nel corso di un convegno organizzato da Retelit allo Studio Novanta di Milano.  Il gruppo, attivo nel settore della trasformazione digitale, possiede una rete in fibra ottica da sedicimila chilometri e diciannove data center (diciotto in Italia e uno in Austria). È quindi un attore dotato di visione sullo stato delle cose.  E nel mondo post pandemico, con l’accelerazione sul digitale, la crisi ucraina, i costi di accesso al capitale in aumento, cambiano rapidamente anche i problemi. Perché i nuovi non cancellano quelli più datati. 

Ad esempio, le questioni legate alla sostenibilità. Digitalizzazione e cloud hanno costi ambientali significativi, noti agli esperti, ma non al grande pubblico.“Tutti ci ricordiamo il lavoro da casa in pandemia, gli aerei che non circolavano, la riduzione del trasporto privato, insomma meno inquinamento" ha detto Federico Protto, amministratore delegato. Meno emissioni, "ma in realtà il consumo di energia dell'ICT non è per nulla trascurabile. La blockchain su cui è basato il bitcoin, da sola, consuma come un paese di medie dimensioni, ad esempio Austria o Svezia”. 

Insomma, “se il web fosse un paese sarebbe il quarto inquinatore del mondo dopo Usa, Cina e India. Si ripete spesso che  passare al digitale sia soluzione a tutti i problemi, ma dobbiamo fare attenzione alle implicazioni”. Che fare, quindi? “Gli algoritmi per ottimizzare i consumi dei data center sono una delle chiavi per ridurre le emissioni del web” ha spiegato Protto. Ma c’è un’altra incognita. 

Il modello economico si sta lentamente spostando da possesso a fruizione. Ai giovani non interessa avere la macchina: va benissimo il car sharing.  Si chiama servitizzazione, e questo, dal punto di vista delle aziende, rappresenta un problema, perché il  valore  non viene più creato dal  prodotto in sé ma dalla modalità con cui ne usufruiamo. Ne deriva che le società che vogliono stare al passo devono porsi il problema di rendere quanto più facile possibile la fruizione del prodotto”. 

Ma se le aziende non sono pronte, non lo è neanche il sistema di tassazione e incentivi. “Mancano gli sgravi fiscali per i servizi, sul modello di quelli rivolti a chi acquista un macchinario. Ma forse – annota il manager - negli ultimi tempi la politica se ne sta accorgendo”. Infine, ha concluso il Protto, i macchinari di domani saranno sempre più connessi e produrranno quantità enormi di dati: che andranno gestiti, per manutenzioni predittive e modalità produttive sempre più disegnate sul contesto locale. 

Sopravvivono i più adatti

L’impresa che sopravvivrà non è quella che domina il mercato, ma quella capace di gestire il cambiamento” ha aggiunto, parafrasando Darwin, l’economista e saggista Marco Magnani, autore del volume L’onda perfetta.Kodak e Blockbuster sono esempi di leader di mercato che non hanno saputo gestire il cambiamento: Kodak quello della fotografia digitale, che peraltro aveva inventato, Blockbuster quello dello streaming”. “Il fatto è che l’unico vero vantaggio competitivo è la capacità di imparare, e adattarsi”. 

Sono tre, secondo Magnani, i grandi trend dell’oggi: la deglobalizzazione (“Nella ricerca della massima efficienza abbiamo sacrificato la resilienza: il risultato sono telefoni prodotti con componenti che arrivano da 43 paesi. Ma se c’è una crisi politica anche in uno solo, lo smartphone non esce dalla fabbrica”). “Il secondo è la sostenibilità, che va ben oltre gli Esg. Non c’è contraddizione tra crescita e sostenibilità che può anzi diventare vantaggio competitivo”.  Il terzo è la stagflazione. “Non c’è ancora recessione, come dice bene Draghi. Per il momento siamo ancora in una fase di rallentamento. Ma potremmo entrarci.  E, al contrario delle generazioni precedenti, molti di noi non ricordano gli effetti di una iperinflazione. Mi riferisco alle famiglie, ma anche ai policymaker, spesso laureati in giurisprudenza e non in economia” ha concluso.